giovedì 27 ottobre 2011

Il bambino della casa numero 10

È autunno! Per me l’autunno inizia ad ottobre. So che non è così, ma i primi freddi, la pioggia, il cielo coperto e soprattutto l’esplosione di rosso, sono tipici di ottobre più che di settembre e io collego l’autunno a questi elementi.
Sono anche settimane un po’ fitte: c’è stato il mio compleanno, fra qualche giorno si laurea mia sorella (che ansia!!!), ho avuto due colloqui di lavoro (ma ancora nessun contratto) e mi sono messa a leggere un libro.

Il libro porta il titolo di questo post. Me lo ha prestato un’amica dicendomi che lei lo aveva divorato in 24 ore, la sorella (con due bimbi piccoli) in 2 giorni e secondo lei mi sarebbe piaciuto… e ci ha preso!!!
È una storia vera e questo mi ha un pochino frenato nelle prime pagine perché temevo il mio coinvolgimento emotivo. Temevo di non riuscire più a staccarmi e così è stato!
Parla di un bambino che viene abbandonato dalla madre a un anno e viene rinchiuso in un orfanotrofio, dove viene giudicato irrecuperabile, quindi non adottabile e destinato a passare tutta la sua vita in istituti. Tutto questo condito dal fatto che in Russia negli anni ’90 e tuttora (così viene raccontato nel libro, non ho delle informazioni approfondite) i bambini considerati irrecuperabili vengono lasciati a loro stessi. Questa etichetta viene data non solo a bambini con dei grossi problemi neurologici o psichici, ma anche a bambini con problemi fisici, piccole difficoltà o patologie risolvibili con qualche operazione.

È veramente un inno alla vita! Questo bimbo trasmette una voglia di vivere grandissima e una capacità di adattamento senza misura. Mi ha aperto gli occhi su una realtà a me sconosciuta e ,pensare che il trattamento che viene descritto è riservato ancora ai bambini disabili che vivono lì, mi lascia molta rabbia.
Concludo questo post con la frase che chiude il libro: “Tuttavia, se questo libro assottiglierà, anche di poco, i ranghi degli indifferenti, avrà avuto successo”.

giovedì 20 ottobre 2011

Pensieri in ordine sparso

Stavo guardando un video su YouTube di un monologo di Enrico Brignano a Le Iene. Non guardo molta tv, per cui ho trovato questo link tramite Facebook.
È un monologo sui black block che hanno distrutto Roma sabato e rovinato la manifestazione degli indignati. Mi è piaciuto molto, a parte il finale che a mio parere è un invito alla violenza e non credo che servisse.
Sabato pomeriggio ero,o meglio stavo conducendo, un corso di formazione (praticamente a gratis!) per cui non ho seguito tutto quello che è successo a Roma, ma ho guardato il telegiornale e sono rimasta allibita dalle immagini che ho visto.
Non mi capacito di come alcune persone si possano organizzare per andare a distruggere più cose possibili. Probabilmente loro la vedono da un altro punto di vista, ma io non riesco a mettermi nel loro. Anche se sono arrabbiata, anche se mi sento presa in giro da questo Governo, anche se non ho un lavoro, anche se sento di non essere tutelata come mamma e come famiglia, anche se vedo le possibilità di educazione di Lele ridursi ad una sorta di sorveglianza, non mi verrebbe mai in mente di dare fuoco alla prima macchina che incontro o spaccare una vetrina.
Il mio primo pensiero è che il mio vicino è messo male quanto me.
Stavo riflettendo con Enne del fatto che questa crisi e le misure del governo hanno semplicemente eliminato il cosiddetto ceto medio: ora o si è ricchi sfondati o si cerca di arrivare a fine mese.

Sotto al video ho letto alcuni commenti e c’è da rabbrividire.
Gente che si insulta, che inneggia alla liberazione dei “compagni” messi ingiustamente in prigione, che questi “poverini” hanno semplicemente perso le staffe, che si sono visti costretti a reagire O__O

Io sono veramente senza parole e mi chiedo come si fa ad arrivare a questo livello di odio e di violenza? Quelli che scrivono queste cose le pensano veramente o sono solo estremisti perché sono dietro ad un computer?
Qualunque sia il motivo, i primi pensieri che faccio sono: cosa porta un ragazzo a comportarsi così? Cosa posso fare per evitare che mio figlio diventi così?

martedì 18 ottobre 2011

“Ah, è veo!”


Sono in fase innamoramento di mio figlio. Certe volte lo guardo e mi commuovo all’idea che è proprio mio figlio, è stato nove mesi nella mia pancia, mi ha donato un parto meraviglioso, mi ha guardato con uno sguardo pieno di infinito quando mi è stato dato fra le braccia, mi ha dato la fatica di diventare mamma, ma altrettanta gioia, mi ha dato notti intense, ma giornate piacevolissime e ora mi sta donando tanti discorsi e intuizioni.

La frase che ripete più spesso è proprio quella che dà il titolo al post e che tradotta in italiano è “Ah, è vero!”.

Io: “Non uscire, aspettami! Fuori, fa freddo, mettiti la giacca!”
Lele: “Ah, è veo! Zacca!” (Trad. Ah, è vero! Giacca!”).

Io: “ E’ pronta la pappa!”
Lele: corre in cucina e di mette sulla sedia
Io: “Prima di mangiare cosa bisogna fare?”
Lele: “Ah, è veo! Pipì vate, mani” (trad. Ah, è vero! Pipì nel water e lavarsi le mani).

Questa espressione mi fa morire dal ridere perché lo fa sembrare un bambino grande e mi stavo chiedendo da dove l’avesse presa, così ho iniziato ad ascoltare meglio tutte le persone con cui ha a che fare. Nessuna lo dice! Ho pensato forse qualche bimbo a scuola, ma parlano tutti circa come lui.
Insomma, ascolta e riascolta, pensa che ti ripensa, indovinate un po’ chi lo dice spesso?
IO!!! E non me ne sono accorta fino a ieri mattina, quando lui mi ha indicato un’auto e mi ha detto “Nonno!” e io gli ho risposto “Ah, è vero! Sembra proprio la macchina del nonno Giuseppe!”. Poi lui mi dice “Nonno Ico, papà!” (trad. “Nonno Enrico, è a lavorare con papà!”) e io gli dico. “Ah, è vero! Il nonno Enrico è proprio con papà!”.
Passano 10 secondi e inizio a ridere: finalmente mi sono resa conto che sono io ad averglielo “insegnato”!
Chissà quante cose che dico e che faccio, vengono assimilate da lui e riproposte.
Per ora fanno ridere, ma quando inizierà a lasciare i suoi vestiti in giro, a spazientirsi in fretta, ad offendersi e a mettere il muso, mi sa che mi metterò a piangere!!!

giovedì 13 ottobre 2011

“Mamma, ninna nanna!”


Lele sa quello che vuole. Se avesse 20 anni saremmo tutti contenti, perché non perderebbe 10 anni all’università (come hanno fatto i suoi genitori =)), non spezzerebbe il cuore a decine di ragazze, non passerebbe giornate intere davanti alla televisione, ecc.
Ma come vi ricorderete Lele ne ha 2 di anni per cui la situazione è un po’ diversa. Lui si impunta su qualcosa ed è la fine. Fortunatamente alcune cose si possono fare (per esempio spazzare fuori le cimici con la sua scopina) e altre ogni tanto non sono un problema (per esempio condirsi da solo l’insalata con il nostro aiuto). Ma alcune non mi sembra proprio il caso: per esempio guidare la macchina, cucinare, tagliare la verdura con il coltello, girare per strada da solo, ecc.
Glielo spiego, gli provo a dare qualche contentino (per esempio preparare da mangiare insieme a me, guidare la macchina quando è in garage, pulire l’insalata) ma lui vuole fare come pare a lui e quindi giù pianti e lacrime, urla e scene isteriche.
Poi arriva la sera e, come dottor Jekyll e mister Hyde, lui cambia e diventa il bambino più dolce del mondo. Ci chiede di metterci sul tappeto insieme a lui, ci fa sdraiare, si sdraia sulla nostra pancia, vuole leggere una storia, vuole fare la danza del serpente e, se gli chiedi di giorno se è lui il pezzetin del tuo condin ti risponde di no, ma dalle 8 in poi lo diventa. Vuole che sia io a mettergli il pigiama e papà deve preparare la milla (trad. camomilla). Poi dà un bacino al papi, mi prende la mano e andiamo in camera sua. Si infila nel lettino, mi porge la manina perché vuole che gli allunghi il biberon. Ciuccia un po’ poi si stacca e dice “Mamma, ninna nanna” (lo dice un po’ cantando), allora inizio a cantare. Dà altre due ciucciatine e poi dice “Mamma, aesse” (trad. carezze), allora canto e gli accarezzo la gamba e lui sorride soddisfatto.
Sai già che appena inizia a filtrare un raggio di luce lui tornerà il bambino testardo e cocciuto della mattina precedente, ma vai a letto felice e con la speranza che domani vada un po’ meglio.

lunedì 10 ottobre 2011

Storie di ordinaria follia

Il risveglio qui sta diventando un delirio. L’orario solitamente è lo stesso e le dinamiche non si discostano molto: ore 7, Lele si tira giù dal suo letto e viene nel nostro (se è già nel nostro, chiaramente questa parte salta!) dopo aver saltellato addosso a me e aver tirato qualche calcio al papà, scende dal lettone e si dirige verso il resto della casa.
A questo punto io cerco di cogliere i rumori e cerco di capire dov’è e cosa sta combinando.
Il papà si gira da una parte e si riaddormenta fra un suono di sveglia ed un altro.
Quando lo vado a cercare ho sempre delle belle sorprese: o ha tirato fuori tutte le padelle dal cassettone e cerca di impilarle una sull’altra, o sta mangiando qualche avanzo della sera precedente che non si sa bene dove abbia ritrovato, o ha rovesciato aceto balsamico mentre faceva i travasi (N.B. non lasciare mai l’oliera sul tavolo con il proposito di “la pulisco e la metto via domani”), o ha tirato fuori tutte le candeline dell’Ikea dal cassetto del soggiorno, ecc.
Faccio un bel sospirone e inizio a proporre tutto quello che c’è in casa per fare colazione e lui dice No a tutto. Solitamente ridico tutto da capo e a volte un Sì lo trovo. Spesso non succede, invece, allora gli dico che non so cosa dargli e inizio a prepararmi.
Lele inizia a piangere e mi segue e comincia a dire “Mamma, oazione” (trad. colazione) e mi dice cosa vuole. Glielo preparo e vado a vestirmi.
Finita la colazione bisogna vestirsi e qui inizia una sorta di balletto: preparo le cose in bagno, cerco di attirarlo lì e inizio a spogliarlo, una volta nudo e mentre io cerco di mettere in qualche luogo sicuro il pannolino puzzolente, lui scappa.
Lo vado a recuperare, ma lui nel frattempo ha perso le ossa , cioè diventa tutto molle e fai una fatica immane a tenerlo in braccio. Cerco di riportarlo in bagno, ma quando lo appoggio per terra, riacquista la capacità motoria e scappa di nuovo. Allora, prendo i vestiti e lo seguo, cerco di vestirlo mentre si arrampica sul letto, si nasconde dentro l’armadio, si infila dietro il tavolo della cucina.
Finita quest’operazione, io sono incavolata come una iena e puzzo come una capra (con tutto il rispetto per entrambi gli animali).
Alle 9 finalmente siamo al nido e io sono stanca come se fossero già le 9 di sera.
Non ho ancora trovato un modo efficiente per fare tutto questo in serenità. Anche perché TUTTE le mattine la storia si ripete e non sto esagerando.

Naturalmente nelle retrovie avete intravisto mio marito che tranquillamente si tira giù dal letto, fa la doccia, dice un assonnato “Ascolta la mamma” a Lele, si fa fare il caffè, mangia qualcosa, mi dà un bacio, dà un bacio a Lele e mi dice “Sei sempre incazzata alla mattina”. O__O

sabato 8 ottobre 2011

Bésame mucho


Prima di tutto ci tenevo a fare un breve aggiornamento rispetto alla questione separazione. Lo stage è andato bene e io e Lele siamo sopravvissuti. Lui si è fatto 3 notti nel lettone con il papi e siamo stati un sacco a telefono. Le conversazioni vertevano solo su trattori e macchinine, ma non potevo pretendere molto. Un “Mamma, ove sei?” mi ha fatto piangere 5 minuti alla fine della telefonata, ma non potevo pretendere molto nemmeno da me!

Torniamo invece al titolo del post: Bésame mucho, non è una richiesta di affetto e nemmeno una canzone, ma è il titolo di un celebre libro di Carlos Gonzàles. Avevo letto alcune recensioni e mi ero incuriosita parecchio, ma sinceramente non me la sentivo di spendere dei soldi per un libro che non sapevo se avrebbe fatto al caso mio, per cui ho aspettato che qualche biblioteca lo acquistasse.
Non è che abbia controllato spesso, diciamo però che 1 anno fa non c’era da nessuna parte e qualche settimana fa era presente in una biblioteca.

Insomma per farla breve, l’ho letto. Mi ha fatto bene al cuore, ma sono contenta di averlo letto ora che Lele ha 2 anni e non quando era più piccolo, perché mi avrebbe messo in crisi.
Il libro tratta di un modo di stare con il bambino che lo rispetta come persona e come essere bisognoso di molte cure e suggerisce un modo di essere genitori che prevede il contatto continuo, il cosleeping, l’allattamento a richiesta, l’assenza di violenza verbale, corporale e di qualsiasi tipo.
Mi ha confermato e mi ha aiutato a mettermi nella prospettiva di mio figlio. Nel libro ci sono spesso degli esempi di situazioni tipiche fra bambini o fra bambini e genitori e vengono riproposte come se gli avvenimenti accadessero fra adulti: alcune scene sono esilaranti!! Rompe molti schemi che la nostra società ci impone e sfata varie teorie molto radicate (non tenere in braccio il bimbo se no lo vizi, piangere gli fa bene ai polmoni, allattamento ad orari prestabiliti, ecc).

Il motivo per cui sono contenta di non averlo letto quando Lele aveva qualche mese è perché io e il cosleeping non andiamo molto d’accordo e il contatto continuo mi crea un po’ di asfissia.
Giusto per capirsi: 1. ho bisogno dei miei spazi e dei miei tempi, se ci conosciamo da 5 minuti non mi toccare o abbracciare;
2. ci ho messo qualche mese ad abituarmi al fatto che mio marito dormisse con me.
Questo non toglie il fatto che abbiamo usato un sacco la fascia fino a quando non ha iniziato a camminare e che tuttora si fa qualche notte nel lettone, ma allo stesso tempo se comincia a starmi sempre in braccio inizio a spazientirmi e che non dormo bene quando lui è nel lettone.
Non mi sento una cattiva mamma per questo, ma molto probabilmente mi ci sarei sentita un anno fa, per cui per fortuna che la biblioteca non lo aveva prima.

Lo comprerei? Probabilmente no, non perché non mi sia piaciuto, ma piuttosto perché non mi detto nulla di nuovo o che non avessi già conosciuto o acquisito come mamma. Sicuramente però consiglierei a tutti di prenderlo in prestito in biblioteca (se lo trovate!!!), perché fa bene sentire una persona autorevole che ti conferma in quello che pensi e vivi.